L’incontro del secolo
È difficile immaginarlo oggi, ma nell’estate del 1972 tutto il mondo aveva gli occhi puntati su Reykjavik, dove si giocava il campionato del mondo di scacchi. Quello fra Fischer e Spassky era uno scontro che sembrava riassumere tutti i grandi temi dell’epoca. USA contro URSS, capitalismo contro comunismo, “un match che avrebbe deciso l’esito della guerra fredda”. (Alberto Crespi, “L ’Unità”, 4 settembre 2011)
“La guerra fredda era, insieme, equilibrio obbligato e sfida. Sul fronte delicato, gli armamenti nucleari e la bomba atomica, c’era bisogno di un pareggio assoluto, dell’equilibrio; su tutti gli altri fronti invece Stati Uniti e Unione Sovietica si dovevano sfidare; potevano farlo. Le Olimpiadi, la corsa alla conquista dello spazio, gli scacchi. Il terzo grande terreno di confronto erano proprio gli scacchi e quello era il campo in cui il predominio dei Sovietici era incontrastato” (A.A. V.V. “Un tempo, una vita”, pag. 22, Feltrinelli editore)
“La sua vittoria sarebbe uno Sputnik alla rovescia”
New York Times
La posta in gioco non poteva essere più alta a livello politico; anche per l’opinione pubblica questi erano due nemici, non combattevano una guerra vera ma si sfidavano elaborando strategie.
“Questi tornei erano sempre stati vinti da russi e pensavo che sarebbe stato un bene per l’America e per la democrazia, avere un vincitore americano”
Henry Kissinger, Consigliere per la Sicurezza Nazionale 1968–1975
Fischer sapeva di non rappresentare solo se stesso, ma l’intero mondo libero. Colui che “voleva solo giocare a scacchi” era stato investito di un enorme carico di responsabilità.
“Questa cosa tra me e Spassky divenne quasi una bomba ”
Bobby Fischer
L’Unione Sovietica e gli scacchi
Su indicazione di Lenin, grande appassionato di questo gioco, dal 1924 gli scacchi divennero fra le attività sportive promosse dallo stato; ciò ne favori la straordinaria diffusione in tutta l’Unione Sovietica. “La parola d’ordine dei dirigenti bolscevichi era: facciamo degli scacchi uno sport di massa, avviciniamo questo gioco alla classe operaia in modo che entri a far parte della cultura proletaria. ” (Yuri Averbakh, Presidente della federazione russa di scacchi dal 1972 al 1976). I risultati non si fecero attendere: nel 1917, subito dopo la rivoluzione, erano solo trecento gli scacchisti professionisti in Unione Sovietica; nel 1934 erano diventati ormai più di cinquecentomila. Gli scacchi non erano più un passatempo, ma uno sport di massa. Il regime sovietico comprese allora come la passione per questo gioco potesse essere usata per fini politici o ideologici, trasformandola in una possente macchina da guerra lanciata contro l’occidente.
“Erano tre i pilastri della propaganda ai tempi dell’Unione Sovietica: il circo, il balletto e gli scacchi. In questi tre campi non avevamo rivali al mondo e chiunque fosse impegnato in queste attività, era considerato una specie di ambasciatore dell’Unione Sovietica all’estero. Erano la vetrina del comunismo. ”
Marc Taimanov, Gran maestro di scacchi
La contrapposizione del mondo liberista con quello comunista sancita alla conferenza di Jalta segnò anche la storia dello sport. Quando la squadra di hockey sul ghiaccio dell’URSS perse inaspettatamente contro quella canadese, il Politburo (organo esecutivo presente nel partito comunista) decise che da allora gli atleti sovietici dovevano andare all’estero solo per vincere. Ogni vittoria era considerata come una dimostrazione della superiorità del sistema socialista su quello capitalista: alla vittoria sportiva si aggiungeva quella politica. Alle Olimpiadi di Helsinki del 1952 l’URSS fece il suo ingresso ufficiale nelle competizioni internazionali, stupì tutti conquistando 22 ori, 30 argenti e 19 bronzi, si collocò seconda nel medagliere, subito dopo gli Stati Uniti. Cominciò così la guerra fredda nello sport.
“Si capì che lo sport era uno strumento molto efficace per far uscire l’Unione Sovietica dall’isolamento internazionale in cui si trovava, inoltre i successi sportivi davano vanto al socialismo e ne dimostravano in un certo senso la superiorità, a dispetto di quanto si dicesse in occidente.” (Michail Bielin, Capo dipartimento di scacchi del comitato russo per lo sport 1966-1978)
Anche gli scacchi vanno alla guerra e l’antica passione russa per questo gioco nobile e raffinato si ritrova nelle maglie soffocanti della propaganda. E come sempre accade quando lo sport è succube della politica, in caso di sconfitta sono guai seri.
“In seguito al match che persi contro Fischer, tornato in patria capii che tirava una brutta aria appena messo piede all’aeroporto di Mosca: in genere noi scacchisti eravamo rispettati e non ci tartassavano con i controlli, quella volta invece mi trattennero per più di un’ora. Mi sequestrarono tutta la valuta estera, e trovandomi in valigia un libro di Aleksandr Solgenitsin il doganiere mi disse: “Compagno Taimanov, Lei si è ficcato in un grosso guaio: se avesse vinto Lei poteva tornare con tutta la bibliografia di Solgenitsin, avrei chiuso un occhio, ma purtroppo ha perso ed io non posso aiutarla. Devo denunciarla”.
Marc Taimanov, Gran maestro di scacchi
Campionato del mondo di scacchi 1972: l’incontro del secolo
Le Qualificazioni
Nel dopoguerra fino al 1972 gli scacchisti campioni del mondo erano stati tutti sovietici: Mikhail Botvinnik, Vasilij Smyslov, Mikhail Tal, Tigran Petrosian, Boris Spassky. Degli otto candidati a sfidare il campione del mondo Boris Spassky, quattro erano sovietici, due tedeschi, uno danese e uno americano: Bobby Fischer.
Fischer sconfìsse con un perentorio 6-0 prima Taimanov e poi Larsen, per battere poi nella finale l’ex campione del mondo Tigran Petrosian con il punteggio di 6½–2 ½, ottenendo quindi il diritto di sfidare Boris Spassky, il campione del mondo in carica.
“Al dipartimento dello sport mi fecero un processo sommario: «Come è possibile che un grande maestro della scuola sovietica si faccia battere 6 a 0 da un moccioso di Brooklyn?». Poi nel corso di quello stesso anno Fischer riuscì a battere Bent Larsen, Tigran Petrosian e tutti gli altri pretendenti al titolo mondiale. E allora quegli stessi funzionari si resero conto che quel moccioso di Brooklyn era invincibile”.
Marc Taimanov, Gran maestro
II tormentato arrivo in Islanda
Fischer tuttavia tentennava, non era per niente sicuro di andare a Reykjavik per giocarsi il titolo di campione del mondo. La federazione internazionale di scacchi lo pressava, ma lui prendeva tempo. “Non era chiaro se Fischer sarebbe venuto in Islanda”. (Gudmur Thorarinsson, organizzatore del match)
Lo scoglio principale era l’esiguo ammontare del premio, lui si considerava un professionista, e tutta quell’attenzione mediatica non poteva che dargli ragione, ma gli organizzatori erano inamovibili su quell’aspetto. C’era il rischio reale che non ci sarebbe stata nessuna partita; Fischer si era già ritirato da altri tornei, non bluffava. A tre giorni dalla data di inizio del match non solo il mondo degli scacchi stava con il fiato sospeso.
Il 2 luglio del 1972, giorno previsto per l’inizio dell’incontro, Fischer non era ancora in Islanda. La Federazione Internazionale posticipò di 48 ore l’inizio della prima partita, ma minacciò di squalificarlo se non si fosse presentato.
L’URSS aveva la sensazione che si umiliasse il campione del mondo. Volevano richiamare Spassky in Unione Sovietica. “Boris mi disse: «Questa situazione è davvero molto grave. Deve risolverla a livelli più alti.» (Gudmur Thorarinsson, organizzatore del match) Gudmur Thorarinsson chiese al primo ministro islandese di chiamare Henry Kissinger, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stari Uniti.
“Fischer non aveva intenzione di andare. Lo chiamai e gli dissi: «Vai.»”
Henry Kissinger, Consigliere per la Sicurezza Nazionale 1968–1975
Un multimiliardario britannico raddoppiò il premio e così Fischer si recò in Islanda.
11 luglio 1972: comincia il match
Si devono giocare 24 partite per conquistare il titolo di campione del mondo: Fischer avrebbe dovuto fare 12 punti e mezzo, mentre a Spassky per mantenerlo ne sarebbero bastati 12; ogni vittoria assegna un punto, il pareggio mezzo punto e la sconfitta 0 punti. Il match può durare due mesi, ogni partita fino a 5 ore. Il campionato mondiale di scacchi è la battaglia intellettuale più estenuante che un uomo conosca.
L’evento fu trasmesso sulle tv di tutto il mondo. Gli ascolti furono eccezionali, a Times Square trasmettevano il match in diretta.
“Fischer e Spassky non si sono mai guardati nemmeno quando si sono stretti la mano all’inizio e alla fine della partita, come consuetudine a questo nobile gioco. Nobile? È il gioco del massacro. Mai visto sport o competizione con avversari che hanno una così potente carica di rivalità. Senti l’odio. Appare meno impietoso un combattimento sul ring, con i pugili carichi di furore omicida, tra il pubblico che urla.” (Luciano Curino, La Stampa 10 agosto 1972)
Partita 1. Il pedone avvelenato
Boris Spassky, il campione del mondo, era seduto di fronte alla scacchiera allestita nel palazzetto dello sport di Reykjavik,di fronte però non aveva Bobby Fischer. L’orologio partì. Erano le cinque in punto, il tempo di Fischer cominciò a scorrere. Sembrava che non ci sarebbe staro nessun match e invece alla fine l’americano arrivò e giocarono.
“Siamo davvero fortunati a essere vivi per poter assistere al match tra Bobby Fischer e Boris Spassky”
Telecronista del match per ABC Sports
La prima partita cominciò con qualche giochetto psicologico d’apertura ma poi si calmò. Dopo 28 mosse la posizione raggiunta sembrava di totale parità, Fischer e Spassky sembravano essersi messi d’accordo per passare alla partita successiva; avevano cambiato tutti i pezzi ed erano rimasti entrambi con un alfiere e qualche pedone. Era un pareggio completo, finché Fischer fece un errore madornale, da principiante. “Fischer andò in tilt, fece una cosa che nessuno avrebbe mai fatto, catturò un pedone facendosi intrappolare l’alfiere” (Anthony Saidy, Maestro di scacchi internazionale e amico di Fischer).
La notizia fece il giro del mondo. Era inspiegabile. Spassky vinse la prima partita.
Fischer protestò con gli organizzatori per l’eccessivo ronzio che facevano le telecamere e che non gli aveva permesso di concentrarsi, arrivando a minacciare di boicottare il torneo se queste ultime non fossero state rimosse. Tuttavia la copertura delle spese del torneo proveniva proprio dalla vendita dei diritti televisivi dell’evento e ciò non fu possibile.
Partita 2. Distruggere un genio
“Devi iniziare puntuale, se un giocatore non è presente tu, in qualità di arbitro, devi attivare il suo orologio. Bobby non arrivò. In quanto arbitro dovetti dichiararlo perdente e, per un istante, mi chiesi se fosse la cosa giusta. Era giusto? Era corretto? Ma dovetti farlo, non c’erano alternative. Quella notte ricordo che mi svegliai con le lacrime agli occhi perché io, l’arbitro, avevo dovuto distruggere un genio”
Lothar Schmid, arbitro del match
Fischer stava rovinando tutto, è molto difficile recuperare due punti in un torneo di 24 partite. Mezzo mondo pensò che fosse finita, che non sarebbe più tornato. Gli organizzatori tentarono allora di salvare il torneo spostando il luogo del match in una stanza isolata del palazzetto dello sport di Reykjavik, senza pubblico e senza telecamere. Per cambiare luogo del match serviva però il consenso di Spassky, che non si fece attendere. Poteva vincere il titolo per ritiro dell’avversario, non era obbligato a giocare in quella piccola stanza da ping pong, invece accettò.
Partita 3. All’ultimo sangue
Nella terza partita Fischer giocò un’apertura di difesa che non aveva mai usato prima, una scelta rischiosa.
“Se la giochi è come dire: non finirà pari, sarà un combattimento all’ultimo sangue”
Anthony Saidy, Maestro di scacchi internazionale e amico di Fischer
All’undicesimo turno di gioco mosse il cavallo al limite della scacchiera, non era una variante comune, il cavallo dà il meglio di sé quando è al centro, inoltre poteva essere catturato e causare un impedonamento che sul lato di re sarebbe stato molto pericoloso. Spassky proseguì con lo stile passivo che da sempre caratterizzava il suo gioco e Fischer grazie al cavallo che aveva dato via all’attacco poté assestare il colpo letale: 2 a 1 per Boris Spassky.
Partita 6. Il capolavoro di Fischer
La quarta partita finì pari, alla quinta Spassky abbandonò. Prima della sesta partita il punteggio era in equilibrio: 2½ a 2½.
La sesta partita è forse la più famosa dell’intero torneo. Già la prima mossa di Fischer destò sorpresa, aprì con il pedone d’alfiere invece che con quello di re, vanificando la preparazione di Spassky. Non fece il suo solito gioco, giocò una partita lenta e posizionale che con il passare delle mosse privò Spassky di mobilità, spingendo i suoi pezzi in posizioni morte.
“Fu una partita così bella che quando alla fine il pubblico applaudì, lo stesso Spassky si alzò in piedi per applaudire Fischer.”
Anthony Saidy, Maestro di scacchi internazionale e amico di Fischer
Fischer fu molto colpito dall’atteggiamento di Spassky, i sospetti che aveva sul suo avversario svanirono di fronte alla prova di sportività di cui era stato capace. Questo episodio sarà il fondamento della loro futura amicizia.
Partita 21. Notte in bianco
Il match continuava, Spassky rinvia la settima partita, che finisce poi in pareggio. A Fischer l’ottava e la decima, un altro pareggio nella nona, Spassky vince l’undicesima minacciando il vantaggio di Fischer; che però dopo un pareggio sconfigge ancora una volta il sovietico nella tredicesima. Solo pareggi dalla quattordicesima alla ventesima partita, ormai Fischer è a un solo punto dal titolo mondiale. La ventunesima partita arrivò alla quarantesima mossa prima di essere sospesa, lasciando ai due giocatori la possibilità di studiarla per riprendere poi il giorno seguente. Spassky tuttavia, dopo aver passato probabilmente la notte in bianco in cerca di una strategia che gli permettesse di recuperare lo svantaggio, abbandonò per telefono, incoronando campione del mondo Bobby Fischer.
“Quella mattina avrei dovuto fotografare Spassky, venne dritto verso di me, mi diede la mano e disse: «C’è un nuovo campione del mondo: il suo nome è Robert James Fischer», Tornai in hotel nella stanza di Bobby, gli dissi che Spassky si era appena ritirato e che volevo essere il primo a congratularsi con lui.”
Harry Benson, fotografo e amico di Fischer
Ad aspettarlo fuori dall’hotel si era radunata una folla di giornalisti, tifosi e curiosi, lui però si precipitò in macchina con l’amico Harry Benson per andare a passare la giornata nell’incontaminato paesaggio islandese, lontano dai rumori del successo.
La crisi
Prigioniero del successo
Tornato in patria Fischer divenne un idolo. Non voleva però tutta quell’attenzione, teneva molto alla sua privacy. A questo va aggiunto che dopo la vittoria non aveva più idea di cosa fare nella sua vita, a 29 anni era giunto ad un punto d’arrivo. Questo è uno stralcio di una sua intervista ad un’emittente americana: «Ti sei sentito deluso, una volta finito tutto, Bobby?» « Beh sì, mi sono svegliato il giorno dopo e mi sono sentito diverso. Come se mi avessero tolto qualcosa.»
Nel 1975 era stato chiamato a difendere il titolo contro Karpov. Fischer non aveva giocato una partita ufficiale da quell’ormai lontanissimo mondiale del 1972 e stabilì una serie di condizioni vincolanti per il match; la FIDE non le soddisfò tutte e l’americano non si presentò. Fischer allora scomparve e non giocò a scacchi in pubblico per quasi vent’anni.
La rivincita del 1992
Nel 1992 il governo jugoslavo organizzò la rivincita del mondiale del 1972. Il premio per il vincitore era stato fissato a diversi milioni di dollari: dopo vent’anni tornava a giocare a scacchi Bobby Fischer. La Jugoslavia era però sotto embargo ONU e Fischer ricevette una lettera del governo degli Stati Uniti che gli vietava di disputare l’incontro. Nella conferenza stampa precedente al match, Fischer sputò sulla lettera, procurandosi un mandato di cattura internazionale. Sotto l’aspetto scacchistico I’incontro non fu interessante, il gioco di entrambi non era più brillante come una volta. A prevalere fu comunque Fischer, quella in Jugoslavia fu di fatto l’ultima partita ufficiale giocata dall’americano.
Gli ultimi anni
13 luglio 2004 Bobby Fischer venne arrestato all’aeroporto di Tokyo per conto degli Stati Uniti. Di un mese dopo è la lettera aperta che Spassky indirizza a George W. Bush affinché conceda la grazia a Fischer:
“Non voglio difendere o giustificare Bobby Fischer. Lui è quello che è. Voglio chiederle soltanto una cosa: la clemenza, la grazia. Ma se, per qualche ragione, ciò fosse impossibile, vorrei chiederle quanto segue: per favore, corregga l’errore commesso dal Presidente François Mitterrand nel 1992. Bobby e io abbiamo commesso lo stesso crimine. Applichi la stessa sanzione anche a me. Mi faccia arrestare. E poi mi rinchiuda nella stessa cella di Bobby Fischer. E ci faccia avere una scacchiera.”
Boris Spassky, decimo campione mondiale di scacchi, 7 agosto 2004
L’Islanda intervenne nella vicenda concedendo asilo politico a Bobby Fischer, che non tornò quindi negli Stati Uniti. Passerà in quel gelido e solitario paese, che proprio lui nell’estate 1972 aveva posto al centro del mondo, gli ultimi anni della sua vita. Bobby Fischer morì per insufficienza renale il 17 gennaio 2008 all’età di sessantaquattro anni: il numero di caselle della scacchiera.